Premetto che io seguo la filosofia di Stanis e per me è sempre tutto "un po' troppo italiano". Tuttavia provo sempre ad andare oltre i miei pregiudizi e non farmi condizionare. Ma questa volta non ce l'ho fatta, ho trovato il libro decisamente troppo italiano. Non ci ho trovato nessuno degli elogi che si leggono (e per cui è stato candidato a diversi premi), non l'ho trovato "esilarante e feroce", non ci ho visto una novità o un piglio moderno, né una ventata di novità nel panorama letterario attuale. O meglio, inizio a domandarmi se i libri di questo periodo siano così terribili da dover vedere questo, a confronto, come una eccellenza. Il libro in sè non è malvagio, non è scritto male, non l'ho trovato neanche (troppo) noioso, di sicuro ha delle basi di aneddoti che potevano essere uno spunto interessante. Tuttavia l'ho trovato poco originale, molte cose già viste e proposte come una nota personale. Quasi a voler sfidare il lettore "devi stare attento al commento di pagina 12 così coglierai la citazione velata a pagina 64". Anche la scelta di trattare argomenti generalmente tabù, magari in chiave autoironica e dissacrante, è oramai una moda diffusa, basti pensare alla stand up comedy. Ciliegina sulla torta, il titolo, che quindi vorrebbe accentuare e rivendicare questa scelta coraggiosa di mettersi a nudo, confermando la veridicità del tutto con l'ambiguità del titolo, quasi un richiamo al paradosso di Russell. Poi sul contenuto ammetto di non essere un amante dei romanzi "di formazione", tantomeno di romanzi autobiografici o basati sulle disavventure personali. Quindi forse questo ha influito sul mio giudizio finale. Tuttavia ho trovato la narrazione discontinua, basata su una serie di aneddoti e molti riferimenti che probabilmente erano indirizzati ad un target a cui non appartengo, Poco approfondimento, poca sostanza. Non c'è una prospettiva contestualizzata o un approfondimento sociale, la maggior parte dei racconti sembrano quasi una mera constatazione, volta al solo scopo di strappare un sorriso. Durante la lettura ricordo di aver individuato una battuta che mi ha fatto ridere, commentando "questa mi è piaciuta". Purtroppo due ore dopo l'avevo già rimossa, tutt'ora non ricordo più neanche il punto del libro in cui era e a cosa si riferiva. In pratica questo libro non mi rimarrà per niente. Probabilmente è anche una mia mancanza per non aver alcun appiglio di vita personale per poter empatizzare con la scrittrice, dall'altro, però, ritengo che un libro non debba essere "solo per pochi", dovrebbe poter trasmettere un messaggio anche a chi ha basi di partenza diverse. Che poi alcuni possano cogliere più cose di altri, è più che lecito, ma che sia una condizione necessaria, lo vedo come un difetto.
Caso ha voluto che subito dopo abbia letto Psicopompo di Amelie Nothomb, altro libro autobiografico costellato di aneddoti personali in chiave comica, dissacrante e un po' fuori dagli schemi. Nonostante anche questo libro non mi sia piaciuto, anche per alcuni aspetti simili ai difetti qui associati al libro della Raimo, tuttavia Psicopompo rimane un libro nettamente migliore e che almeno dice qualcosa, poi uno potrà apprezzare più uno dell'altro, ma penso sia evidente che sono su due livelli completamente diversi. E forse anche questo ha condizionato il mio giudizio finale.
In conclusione, Niente di Vero per me è un libro seppur scorrevole, non troppo interessante, non lo consiglierei e non mi ha fatto venire curiosità di leggere altro di questa scrittrice, alla quale auguro tutto il meglio, pur rattristandomi nel constatare che sia tra le menti più brillanti della letteratura italiana attuale. Ma poteva andare molto peggio, quindi bene così.